Oggi è Pasqua, mentre voi vi ingozzate col pranzo infinito e uova io devo amaramente constatare che sono già due mesi che sono qui, cioè è quasi ora di tornare a casa, e non voglio.
La scuola,
i professori, i compagni sempre insieme,
gli scozzi e gli sbratti, i bambini col buco sui pantaloni,
gli spiedinari giorno e notte, i parrucchieri pure,
la città grande, la metro che conosci a memoria,
la campanella che suona un jingle ridicolo, fare i cartelloni con le foto e le scritte come alle medie, andare in gita come alle medie,
sentire i miei solo per telefono,
stare 24 h al giorno con persone che parlano minimo 3 lingue, il code switching che non sono capace a fare ma ci provo comunque,
i nuovi amici e quelli di sempre,
le fuyuan del piano, la bimba piccola che piange 2 stanze dopo di me, le maledette coreane che in realtà sono gentilissime e non ce la faccio mai a sclerarci anche se fanno un casino della madonna,
le canzoni cinesi studiate e quelle sentite dai cellulari di improbabili tizi nei parchi pubblici,
i parchi pubblici con gli anziani che ballano e altri che fanno "taichi",
le conferenze Orlèans-Pechino, il capirsi meglio dall'altra parte del mondo,
sentire tutto questo casa e vedere l'Italia solamente come patria di affetti e del cibo con cui sei cresciuta,
escogitare un modo per ritornare,
sentire lontano e vicino le persone,
non voler essere nessun altro se non me stessa di questo momento per tanto altro tempo... tutto questo è Pechino.






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